La situazione in Pakistan, dopo il violento terremoto che ha colpito le zone montuose nel nord del Paese, continua ad essere molto preoccupante.
Il numero delle vittime è ancora incerto per la mancanza di dati anagrafici (si parla di oltre 50 mila morti), mentre è ancora molto grande il numero di persone che continuano a rimanere sulle montagne, esposte al freddo dell'inverno imminente e alle intemperie. Sono circa tre milioni coloro che non hanno più un tetto. Intere famiglie vivono ammassate sotto tende improvvisate, fatte di semplici lenzuoli, senza altro riparo. Perfino negli ospedali rimasti in piedi dopo il sisma, nella città di Abbottabad e nella stessa capitale, i feriti sono costretti ad attendere le cure a cielo aperto.
Oltre i grandi agglomerati urbani, sono stati annientati piccoli villaggi remoti e sparsi in aree molto vaste, collegati da stradine strette e in terra battuta. La gente che vi risiedeva è costretta a scendere a piedi nelle valli, percorrendo anche diversi chilometri, trasportando i propri familiari feriti, prima di raggiungere dei campi in cui trovare almeno un po' di cibo e acqua.
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Una delegazione di Sant'Egidio ha potuto visitare alcuni dei luoghi colpiti, portando medicinali e kit di pronto soccorso. Gli aiuti più richiesti e urgenti rimangono però le tende da campo: le Comunità del Pakistan si stanno occupando di reperirle e di trasportarle. Grazie a loro gli aiuti potranno giungere in particolare alla città di Balakot, totalmente rasa al suolo, e a Mansehra, dove si sono raccolti migliaia di sfollati della regione di Frontiera del Nord-Ovest.
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