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24 Març 2010

Mozambico - Amici al di là del muro

 
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Aiutare i semi più promettenti della Chiesa a germogliare e dare frutto. È con questo spirito che Caritas Antoniana ha scelto di collaborare con la Comunità di Sant'Egidio — movimento di laici presente in settanta Paesi del mondo, impegnato nel servizio ai poveri e alla pace — per sostenere un progetto a favore dei detenuti in Mozambico. Tra Sant'Egidio e il Paese africano c'è un rapporto che va oltre l'amicizia e che affonda le sue radici in un evento di portata storica: il 4 ottobre del 1992, infatti, proprio a Roma, nella sede fondativa della Comunità, è stato firmato l'accordo di pace che ha messo fine a diciotto anni di guerra civile in quel Paese. Un risultato insperato persino dalle più impegnate diplomazie internazionali. Ma c'è un altro antefatto, che ci riguarda più da vicino: Caritas Antoniana e Comunità di Sant'Egidio hanno già collaborato, nel 2001, a uno dei primi progetti per fermare la trasmissione dell'aids dalla mamma al bambino. E, guarda caso, proprio in Mozambico.

Storie che oggi s'intrecciano ancora una volta per dar vita a uno dei progetti più efficaci e commoventi, realizzato all'interno delle carceri mozambicarie, precisamente in quelle di Lichinga e Cumanba, nella provincia del Nassa.

Il progetto che ha un titolo significativo — «Un'amicizia al di là del muro» — è maturato proprio nelle comunità mozambicane di Sant'Egidio, nate a decine dopo il trattato di pace. «Le comunità locali — spiega Marco Bartoli, nostro referente presso la comunità — hanno cominciato a chiedersi quali fossero i più poveri dei poveri e tra loro hanno individuato i detenuti».

La condizione delle carceri in Mozambico è particolarmente dura. L'unica indagine che la fotografa risale al 2002 ed è riferita alle carceri della capitale Maputo, «ma probabilmente la situazione peggiora man mano che ci si allontana dalla città», spiega Bartoli. Secondo tale indagine il 77,6 per cento dei condannati ha meno di 30 anni, ma tra i detenuti non condannati — che sono il 69,4 per cento della popolazione carceraria — la percentuale dei giovani e giovanissimi sale ulteriormente. Il 40 per cento dei detenuti non ha alcun titolo di studio e il 30 per cento ha solo il livello primario, «il che significa — Bartoli — che 7 su 10 ra. n sanno leggere e scrivere correttamente il portoghese, lingua ufficiale, rimanendo di fatto esclusi dalla possibilità di migliorare la propria vita e uscire dal circolo della criminalità». Pessime anche le condizioni igieniche e sanitarie: «Il carcere di Lichinga, dove abbiamo concentrato l'aiuto della Caritas Antoniana, è stato costruito per 50 persone ma ne detiene 320».

L'efficacia di questo progetto sta nel fatto che è stato concepito dai mozambicani per i mozambicani. Il «leader» è una suora, Lidia Mapilele, francescana missionaria di Maria, che ha un piccolo esercito di 150 volontari, rigorosamente non salariati. «Il detenuto deve sapere che il volontario che va a trovarlo, in genere un giovane come lui, non è spinto da nessun altro motivo se non quello di aiutarlo». Si instaura così un rapporto di fiducia, facilitato dalla conoscenza della cultura e delle lingue locali. Un contatto prezioso perché permette di scandagliare i reali bisogni e studiare le soluzioni dall'interno.

Il volontario diventa il punto di riferimento, la persona di fiducia che aiuta a ritrovare i contatti con la famiglia di origine, che informa sui diritti e doveri, che si interessa al processo, recandosi di persona presso la procura e il giudice. «Questo interessamento fa una grande differenza per chi non ha i soldi per pagarsi un avvocato e non ha alcun tipo di tutela».

Ma la prospettiva si allarga al dopodetenzione, e il progetto «Un amico al di là del muro» offre a questi ragazzi, forse per la prima volta nella loro vita, la possibilità di costruirsi un futuro: «Ogni anno istituiamo corsi di alfabetizzazione con insegnanti e programmi ministeriali che permettono di fare esami riconosciuti e arrivare al diploma. Organizziamo inoltre corsi professionali per imparare i lavori più richiesti in zona: dal calzolaio al fabbro, dal panettiere al sarto, dal ceramista al falegname».

Proprio per sostenere tutti questi corsi nel carcere di Lichinga, lo scorso anno la Comunità di Sant'Egidio, memore della precedente collaborazione, ha chiesto l'aiuto della Caritas Antoniana. La richiesta era modesta, appena 5 mila euro a integrazione dei 6 mila già raccolti in proprio dalle comunità locali: quel che bastava per aiutare tante piccole risurrezioni. Richiesta subito accolta e ora premiata da un bilancio davvero esaltante: «Abbiamo potuto acquistare tutto il materiale didattico dei 5 corsi di alfabetizzazione e pagare le spese dei 6 corsi professionali — afferma Bartoli —. Le persone direttamente coinvolte sono state 202, ma i beneficiari indiretti sono tutti i familiari, perché i detenuti, una volta usciti dal carcere, potranno mantenersi e non tornare alla criminalità. L'altro effetto non secondario del progetto è stato il miglioramento del clima all'interno della prigione che ha stimolato l'autorità carceraria a fare la sua parte e cercare ulteriori soluzioni per questi ragazzi».

Una vittoria della vita e della speranza che si coglie nella gioia di Alì, 18 anni, studente del primo anno di alfabetizzazione: «Ho imparato a scrivere il mio nome e a leggere un poco. Sì, è bello studiare. Non lo sapevo». Gli fa eco Mustafà, 28 anni: «Adesso che so leggere, voglio sapere tante cose, tutte quelle che ho perso quando ero fuori». Martino Sebastiao oggi è il maestro calzolaio della prigione: «Ho imparato da Matusse, detenuto anche lui, che stava sulla sedia a rotelle e adesso è morto. L'anno scorso sono uscito e ho chiesto di poter continuare al suo posto. E ora riesco a mantenere la mia famiglia». Botomane, invece, voleva trasferirsi in un'altra città, era il suo sogno. In carcere aveva fatto il corso di vasaio.

Alla fine della pena i suoi compagni del corso di falegname e fabbro gli hanno fatto l'ultimo regalo: hanno costruito per lui un tornio a pedali del valore di 676 euro. Quasi a dirgli: «Vai, Botomane, riprenditi la vita».   


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