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19 Februar 2015

Attentato. Altra denuncia di Elvis Seferovic, capo dei rom dì via Bassette

«Dopo le molotov sono arrivate di notte anche le minacce»

«Da un'auto ci hanno gridato: vi facciamo la guerra»

 
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Dopo le bottiglie incendiarie contro i nomadi che vivono nel campo di via Bassette sono arrivate le minacce. «Mezzanotte era passata da una ventina di minuti, è passata un'auto e ci hanno urlato: "Vi facciamo la guerra". Nessuno ci dà protezione, ci hanno lanciato contro delle bottiglie incendiarie che sono cadute vicino alle roulotte ed abbiamo faticato a spegnerle - racconta Elvis Seferovic capo della grande famiglia rom che da circa 8 anni vive nel campo di via Bassette - erano bottiglie di birra Moretti con stracci infuocati, la stessa cosa che è accaduta anche nell'altro campo. Non hanno centrato le roulotte ma erano le 2 di notte, i bambini dormivano. Vengono a bruciare i bambini. Se succede, noi cosa dovremmo fare, come ci dobbiamo comportare? Denunciare l'accaduto non serve a nulla».
I rom sottolineano di non sentirsi per nulla tutelati, ammettono che nel campo serpeggia la paura soprattutto per i bambini, di tutte le età che sono una quarantina, e dichiarano che ci vorrebbe più protezione perché, ribadiscono più volte, non si sentono tutelati.
«Noi viviamo qui da anni e qui vogliamo restare, siamo residenti e non vogliamo spostarci, a meno che il Comune non ci dia delle case popolari - continua Seferovic - gettare bottiglie incendiarie dall'autostrada non è un gioco, per ora facciamo turni di sorveglianza la notte per stare più tranquilli. Per difendere noi le forze dell'ordine non ci sono. Col primo incendio che abbiamo subito all'esterno lungo la recinzione del campo hanno dato la colpa a noi, hanno detto che il fuoco lo avevamo fatto da soli».
Il campo di via Bassette nelle serate del 6 e 7 dicembre scorsi infatti era stato preso di mira, secondo le testimonianze degli stessi rom, da un gruppo di ragazzi che transitando a bordo di un furgone avevano appiccato il fuoco ai due cumuli di spazzatura ai lati dell'ingresso. Adiacente l'ingresso del campo, lungo la recinzione che lo divide da via Bassette, è sistemata la famiglia di Giovanni Sakanovic che dice di essere nipote dei Seferovic. La coppia 32 anni lei 37 lui ha 8 figli, il più piccolo di soli 6 mesi. «Non mi è mai capitato in tutta la vita che cercassero di darci fuoco, non siamo criminali né mafiosi, i nostri figli vanno a scuola - afferma Sakanovic - hanno lanciato le bottiglie sfiorando le roulotte dove dormivano i nostri figli. Se bruciano i nostri bambini come fecero ad Auschwitz come dovremmo comportarci?». Anche i Sakanovic dicono che non dormono per vegliare sui loro bambini a turno. «Attendiamo che il Comune intervenga, devono darci qualcosa. A questo punto meglio se chiudono il campo e ci danno una casa popolare prima che succeda una disgrazia». Sull'intera vicenda molto cauto il sindaco Bitonci: «Sono episodi preoccupanti ma bisogna attendere l'esito della indagini».
"Le intimidazioni e gli atti di violenza contro alcune famiglie di sinti e rom presenti a Padova sono un fatto grave, che non va sottovalutato. L'episodio avrebbe potuto avere conseguenze tragiche: visitandoli, abbiamo incontrato uomini, donne e soprattutto bambini preoccupati e spaventati", si legge in una nota. Ed ancora: "La Comunità di Sant'Egidio condanna questa violenza e il clima da capro espiatorio nei confronti di rom e sinti che ha invaso il discorso pubblico e che contagia mentalità e comportamenti. Occorre vigilare su atteggiamenti di diffidenza che facilmente si trasformano in disprezzo: la logica dell'odio rischia di alimentare derive violente e razziste".


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