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13 Oktober 2013

«Cristiani in Pakistan vittime del fanatismo»

La denuncia dell'arcivescovo di Karachi, Coutts. Un mese fa l'attentato suicida in una chiesa anglicana con oltre 120 morti

 
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In alcuni Paesi del mondo essere cristiani I può costare la vita ogni giorno. Uno di questi è il Pakistan, dove la libertà religiosa è pesantemente condizionata dagli estremisti islamici e la minoranza cristiana - circa il 4% della popolazione - è vittima di persecuzioni e attentati. Come quello suicida che lo scorso 22 settembre ha colpito i fedeli riuniti per la Messa in una chiesa anglicana di Peshawar, facendo più di 120 vittime. «La domenica dopo l'attentato suicida, le chiese erano piene. I cristiani pakistani hanno sì paura, ma non perdono la loro fede». Così monsignor Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale pakistana, ha raccontato il coraggio dei suoi fedeli intervenendo giovedì alla Pontificia Università della Santa Croce, alla conferenza «Vittime della legge nera. La libertà religiosa in Pakistan», organizzata con la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre.

Il presule ha denunciato la nascita di un islam estremista molto ostile al cristianesimo e le tante «discriminazioni» alle quali sono soggetti i «non musulmani», che sono «considerati cittadini di seconda classe». Monsignor Coutts ha ricostruito la storia del Pakistan, a partire dalla sua nascita nel 1947 «come stato indipendente, separato dall'India», per garantire ai musulmani la libertà «di praticare la loro religione senza essere minacciati dalla maggioranza hindu». Nel 1977 la svolta estremista, con l'avvento del dittatore militare Zia-ul-Haq. Quest'ultimo «introdusse alcune leggi islamiche» e la legge sulla blasfemia, nel 1986, che punisce con l'ergastolo chiunque profani il Corano e condanna a morte chi insulta il profeta Maometto. Una legge che, ha scandito l'arcivescovo, «può essere facilmente usata in modo improprio» come uno «strumento di vendetta per ritorsioni personali», soprattutto «se la persona contro  la quale si punta il dito è un cristiano». E infatti «nel 2010 delle 38 persone uccise per blasfemia 14 erano cristiane», ha osservato, ricordando alcune vittime di questa «mentalità fanatica molto pericolosa». Uno su tutti, il ministro per le Minoranze religiose  Shahbaz Clement Bhatti, ucciso da fanatici nel 2011 perché aveva cercato di modificare la cosiddetta «legge nera».

In Pakistan i cristiani soffrono anche a causa dell'identificazione tra cristianesimo e Occidente: un'idea nata durante la guerra in Afghanistan e alimentata dalla caccia al terrorismo del dopo 11 settembre. Tappe storiche che hanno dato vita a «una nuova forma di islam che predica e promuove la jihad o la guerra santa verso i non musulmani» e vuole «che il Pakistan diventi uno stato puramente islamico». Alla base dell'attentato di Peshawar, ha affermato monsignor Coutts, c'è una «percezione negativa dei cristiani in Pakistan», visti come «agenti dell'Occidente e quindi nemici dell'islam». Ma questo non toglie la speranza ai fedeli pakistani. «Noi siamo una minoranza piccola ma attiva e stiamo contribuendo allo sviluppo del Pakistan», ha testimoniato il presule, che oggi, alle 16, nella basilica di San Bartolomeo all'isola Tiberina presiederà una Messa in suffragio delle vittime di Peshawar, organizzata dalla Comunità di ant'Egidio e dall'Associazione dei pakistani cristiani in Italia. A conclusione dell'incontro, l'intervento di monsignor José T. Martin de Agar, docente di Diritto canonico alla Santa Croce: in rapporto al Pakistan, ha detto, «i nostri Paesi sembrano più tranquilli, tuttavia non mancano insidie per la libertà religiosa. E non sono poche le iniziative che cercano di relegare la libertà di religione in ambito privato». 


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