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Dankgottesdienst zum 50. Jahrestag der Gemeinschaft Sant’Egidio

10. Februar um 17.30 Uhr in der Lateranbasilika des Hl. Johannes

Die ersten Personen sind 2018 durch die humanitären Korridore in Italien angekommen. Die neue Phase des Projektes, das zum Modell der Gastfreundschaft und Integration für Europa geworden ist


 
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7 September 2015 16:30 | Kathedrale der Auferstehung Christi (Orthodoxe Kathedrale)

Intervento di Roberto Morozzo della Rocca



Roberto Morozzo della Rocca


Historiker, Gemeinschaft Sant’Egidio

Iniziai a studiare l’Albania nel 1985. Allora non era facile visitarla. Unica  possibilità era un viaggio collettivo, previa iscrizione al Partito comunista italiano, come mi fu spiegato. Rinunciai, ma appena cambiò il regime cominciai a girare liberamente per l’Albania e feci esperienza dell’apertura umana dei suoi abitanti. Certamente, in quei primi momenti di libertà, dopo decenni di chiusura ermetica al mondo esterno, gli albanesi ardevano dalla voglia di incontrare forestieri, aprivano tutte le porte, quasi con ingenuità, come bambini. Avevano interesse per l’altro da sé, una grande curiosità.

Nei venti e più anni successivi, fino a oggi, molto è cambiato dell’Albania. Le montagne si sono spopolate, tanti sono emigrati all’estero, il cielo pieno di stelle di una Tirana senza luci e senza motorizzazione non c’è più, e non si poteva pretendere che restasse. Ha fatto irruzione la modernità occidentale. Ancora settant’anni fa per l’opinione italiana l’Albania era l’Oriente sotto casa, oggi appare inclusa in un modello standard di vita occidentale. Eppure il carattere degli albanesi d’Albania è rimasto pressoché lo stesso: amichevole, intraprendente, mediterraneo. Avendo frequentato parecchio anche gli albanesi del Kosovo e della Macedonia vorrei notare una differenza. In Albania le persone sono più solari che nelle terre ex jugoslave dove gli albanesi si confrontano con un nemico etnico. La storia è stata diversa - si capisce. Le comunità albanesi non sono uguali in quella che pure è la loro comune area di popolamento.

In Albania, il tema della convivenza, di cui qui parliamo, è connesso a questo carattere felicemente meridionale, malgrado le aspre montagne. Un carattere aperto, amichevole, accogliente, caldo nell’ospitalità e nella conversazione.

I territori abitati da albanesi hanno fatto parte per secoli dell’impero ottomano che, come tutti gli imperi del resto, mescolava i popoli. Slavi, greci, albanesi, erano in molte regioni a stretto contatto, si sovrapponevano, si mescolavano. Penso alla regione scutarina e montenegrina, alla costa adriatica fino a Cattaro, al Kosovo e oltre verso Niš, a Uskub/Skopje e alla Macedonia occidentale, all’Epiro. I popoli meno numerosi, come valacchi, rom, ebrei, si confondevano con quelli dalla maggiore massa critica. Sovente nelle terre a maggioranza albanese divenivano degli assimilati nella lingua, nel costume, finanche nell’identità. Finché c’è stata la compagine imperiale ottomana a dare le regole della convivenza, slavi, greci e albanesi hanno convissuto pacificamente. In Kosovo, fino a metà Ottocento, non c’era conflitto: albanesi e slavi lì si identificavano più per la religione, in quanto musulmani e cristiani, che per l’etnia. Si conviveva nel mutuo rispetto.

L’avvento delle nazioni e dei nazionalismi porta un’altra storia. Ciascun popolo cerca di ritagliarsi uno spazio maggiore possibile a danno dei vicini di casa. Gli albanesi erano i più deboli. Greci e serbi e montenegrini già a metà Ottocento avevano i loro Stati, gli albanesi lo avranno solo nel 1912. Ancora nel 1940 erano, gli albanesi, appena un milione e mezzo in tutti i Balcani. Un piccolo popolo, segnato inoltre dall’arretratezza economica e sociale. Tra i diplomatici europei a Tirana girava la battuta sul Creatore che, passati tanti anni dalla creazione, aveva voluto far un giro nel mondo, per vedere se gli uomini avevano rispettato quanto lui aveva creato e disposto nella sua saggezza, dopo di che era tornato deluso in cielo e aveva detto che soltanto in un luogo tutto era rimasto come lui lo aveva creato: in Albania. Per dire dei pericoli che correvano gli albanesi: un progetto jugoslavo per trasferire tutti gli albanesi del Kosovo in Turchia venne firmato a Belgrado e Ankara, e fallì solo per lo scoppio della seconda guerra mondiale.    In questo contesto parlare di convivenza non era facile. Ci si doveva difendere. Le guerre balcaniche si sono susseguite per quasi due secoli, fino a oggi. Tutti i popoli balcanici, chi più chi meno, chi prima chi dopo, hanno assorbito la loro quota di nazionalismo, la cui matrice peraltro non era balcanica ma francese, tedesca, inglese.

E’ luogo comune parlare di unicità del popolo albanese. C’è una verità in questo approccio. Gli albanesi interessano e affascinano più di altri popoli balcanici. Esistono su di loro tanti studi che non si hanno su popoli vicini, quasi abbiano meno storia e meno misteri. Gli albanesi invece hanno una storia molto originale e antica, testimoniata dalla loro lingua senza parentele con nessun’altra. Pensiamo poi alle loro leggi consuetudinarie, i kanun, delizia di etnografi, antropologi, sociologi e giuristi. Oppure all’incredibile, ambizioso e tragico tentativo di Enver Hoxha di forgiare un uomo nuovo che fosse d’archetipo per tutta l’umanità. Ce n’è abbastanza per parlare di unicità del popolo albanese. Unicità che è anche connessa al tema della convivenza. Lo esemplifica l’aspetto religioso.

In Europa, generalmente, a una nazione corrisponde una religione, una fede. Italiani, spagnoli, francesi, polacchi sono cattolici. Russi, greci, bulgari, serbi sono ortodossi. I popoli germanici sono almeno tutti cristiani. Così come i bosgnacchi sono tutti musulmani. Invece gli albanesi sono capaci di essere tranquillamente musulmani (sunniti oppure dervisci, bektashi) e cristiani (cattolici oppure ortodossi). C’erano in passato anche ebrei, mai oggetto di antisemitismo. Ebbene, queste differenze confessionali non hanno mai portato a conflitti religiosi, a rotture della convivenza, e neppure a esclusività confessionale nei matrimoni.

L’albanologo sosterrà che questa tolleranza religiosa è conseguenza del fatto che nel cuore di ogni albanese l’appartenenza religiosa è secondaria rispetto all’appartenenza etnica alla nazione, la quale costituirebbe la vera religione degli albanesi secondo i famosi versi di Pashko Vasa (“la religione degli albanesi è l’albanesità”). Non accetterei questa spiegazione macchinalmente. Ci sono albanesi che sono grandi figure delle religioni storiche. Penso a Madre Teresa ma anche a tanti martiri in odium fidei dell’epoca comunista. E poi gli albanesi convivevano bene fra di loro, malgrado le diversità religiose, anche prima dell’età dei nazionalismi, quando nessuna ideologia poteva essere invocata per svalutare o sostituire le identità confessionali.

Per concludere. L’essere passati sotto la lunga dominazione ottomana, ma anche, in tempi antichi o recenti, bizantina, veneziana, italiana, ha prodotto nella mentalità albanese una flessibilità e un adattamento al vivere insieme malgrado le differenze religiose tra cristiani e musulmani, linguistiche tra gheghi e toschi, sociali fra clan del Nord e genti del Sud. Nelle difficoltà politiche gli albanesi, senza uno Stato, hanno sempre preservato la loro unità culturale e la loro convivenza. Non a caso le lotte di fazione non sono mai diventate guerre civili.

E questa capacità di preservare la convivenza e unità si è riflessa sulla vita delle minoranze esistenti in Albania, godendo in definitiva di quell’albanesità di cui parlava Pashko Vasa, da intendersi tuttavia non secondo l’accezione naturalistica del poeta, bensì umanistica. Quell’albanesità che è socievolezza, attaccamento alla tradizione, tolleranza (vivi e lascia vivere), accettazione dei propri limiti, legame tra vicini, interesse per il mondo attorno, astuzia del quotidiano, affettuoso pettegolezzo tra amici, gioia vitale.

 

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